Dialogo con Milo De Angelis
Stavo curiosando nel web alla ricerca di qualcosa di stimolante, quando mi
ritrovo ad ascoltare un’intervista di Aldo Nove che dice di essere stato
fortemente ispirato dalla poesia di Milo De Angelis. Qualche giorno dopo ho tra
le mani la raccolta Millimetri che, dopo avere letto tutte le poesie, rimane la
mia opera preferita. Ho trovato nei suoi scritti una forte vicinanza con le
parti costitutive della città che va oltre la risonanza affettiva penetrando
l’essenza della materia e dello spazio. Da quest’incontro nascerà
l’intervista/dialogo col grande poeta contemporaneo Milo De Angelis.
1) Iniziamo
da un prezioso frammento tratto da SOMIGLIANZE (1976)
LE SENTINELLE
…parlano ma
senza svelare l’inizio
hanno fatto dell’altrove un tempio abitabile…
Quale potrebbe essere la forma di questo tempio e di quali materiali potrebbe
essere fatto?
Questa poesia si rivolge (in terza persona plurale) a coloro che parlano
dell’altrove senza averlo mai vissuto seriamente e allestiscono una scena
“drammatica” che in realtà è finta, una sofferenza decorativa che si presta al
più comodo dei soggiorni. Il tempio a cui accenno deve essere dunque un luogo
tranquillamente abitabile, confortevole, raffinato, costruito con materiali di
valore che suscitano rispetto e ammirazione, materiali “eleganti” come la loro
messa in scena (per esempio il mogano, il noce, il palissandro o altri legni
pregiati) materiali che non devono essere troppo vistosi e anzi devono apparire
“sobri”, in modo che l’inganno possa funzionare e si avverta il profumo della
buona educazione e della buona famiglia.
2) In TERRA DEL VISO (1985) emerge quel
materiale urbano fatto di mattoni e crepe nei muri che umanizza la poesia
avvicinandola alle nostre vite metropolitane.
TI BENDERAI?
Ti benderai? Io sono
salito con la sciarpa
sugli occhi, ho graffiato i mattoni. Il muro
ha molte
crepe…
Perché per Milo De Angelis è così vitale intrecciare la poesia con la
città?
Perché sono nipote di Baudelaire e non posso fare a meno delle rivelazioni che
riserva la città; non posso fare a meno di incontrare in qualche strada una
passante dalla bellezza fuggitiva o una banda di ragazzi che giocano a pallone.
La città (specialmente se è una grande città) da una parte è il luogo di queste
epifanie subitanee che svelano sempre qualcosa della nostra attesa più profonda
e dall’altra è il luogo in cui è possibile non incontrare nessuno e restare nel
proprio isolamento, il luogo di un nascondiglio, di una vita solitaria, di un
segreto, ossia di situazioni che nutrono da sempre la mia poesia.
3) Nell’opera
DISTANTE UN PADRE (1989) si delinea un codice simbolico che attinge ad una nuova
mitologia costruita insieme al crescere della città post-industriale.
QUARTO O
QUINTO PIANO
…Dal citofono
esce colore mentale
…Ruote che si sottraggono
lentamente
al gelo, umiltà di una porta.
L’oracolo del mondo nuovo è forse il citofono che emana la sua voce
rassicurante e luminosa? Quale conforto nella città tossica del Terzo
Millennio?
Mi ha sempre colpito, il citofono, questo strumento bizzarro fin
dall’etimologia, che unisce il mondo romano al mondo ellenico, l’avverbio latino
della velocità (cito) al nome greco della voce (foné) e che collega il mondo
interno di un’abitazione al mondo esterno della strada, del suo traffico, dei
suoi rumori e dei suoi passanti. È un oggetto doppio, un oggetto magico: da un
lato è rassicurante, come suggerisci anche tu, ma dall’altro può inquietare e
farci sentire vulnerabili in questo strano dialogo tra il “dentro” caldo della
casa e il “fuori” improtetto della gente che passa e sente le nostre parole.
Un’intera sezione di Quell’andarsene nel buio dei cortili (2010) è dedicata ai
citofoni che incontravo nei miei viaggi notturni per le strade cittadine:
sembravano delle sirene capaci di attrarmi con la loro luce seducente,
provvidenziali stazioni di quel mio lungo e solitario peregrinare, dove mi
aggrappavo al loro richiamo irresistibile, alla voce umana che promettevano e
che finalmente mi avrebbe accolto.
4) In BIOGRAFIA SOMMARIA (1999) incontriamo
l’immagine di una città che si comporta come certe macchine d’ospedale
attraverso le quali riusciamo a respirare. Per concludere con l’idea
claustrofobica di un dormitorio senza finestre che mi ricorda il cimitero di
Modena dell’architetto Aldo Rossi.
L’OCEANO INTORNO A MILANO
…Ora una città
ci
aziona il respiro.
COSTRUZIONE CON I FIAMMIFERI
IV
Impronta digitale, impronta
divisa in gridi
nel dormitorio senza finestre
…
Perché questo tuo innamoramento per materiali come il catrame e l’asfalto?
È vero: il catrame e l’asfalto sono materiali che mi hanno sempre attratto.
Appaiono come immagini ossessive fin dalla mia prima opera, Somiglianze, spesso
in scene notturne e piovose, quando brillano sotto i fari delle automobili ed
evocano un universo di creature sconosciute che vagano per la città come gli
atomi di Lucrezio e poi scompaiono chissà dove. A volte l’asfalto può diventare
minaccioso, come in Tema dell’addio: entra nelle case, invade le stanze, i
letti, le lenzuola, avvolge i corpi con la sua scorza impenetrabile e li fa
sparire per sempre ai nostri occhi, li separa da noi, li colloca in un luogo che
è soltanto loro ed evoca la potenza tetra dei cimiteri. Anche il bitume mi
attrae: a differenza del catrame, che si ricava dal petrolio, il bitume è un
elemento naturale, presente nelle vene della terra e dunque ancora più vicino a
noi, tale che possiamo incontrarlo da un momento all’altro, temibile per la sua
potenza vischiosa, capace di incollare per sempre oggetti e creature. Il
catrame, l’asfalto e il bitume diventano così tre forme dell’insidiosa minaccia
che incombe su di noi, tre archetipi di una situazione carica di allerta, dove
ci sentiamo provvisorie sentinelle e avvertiamo che la nostra vita è in
pericolo.
P.S. Il nome di Aldo Rossi ben si addice a questa scena allarmante sia
per la dimensione carceraria del cimitero di Modena sia perché proprio Aldo
Rossi è l’autore di un famoso complesso abitativo nel quartiere Gallaratese di
Milano – detto “Dinosauro rosso” per il colore della sua facciata e per le
proporzioni gigantesche – dove ha sede la rivista “Poesia” di Nicola Crocetti e
dove tante volte mi sono perso in quel vasto spazio condominiale, vagamente
alieno, che si articola in strade, negozi, cunicoli, aperture improvvise, piazze
triangolari, bar, palestre corridoi, ballatoi e persino un anfiteatro, creando
così un sorta di labirinto in cui si ha l’impressione non trovare più nessuna
via d’uscita.
5) C’è un’opera che più di altre già dal titolo attira
l’attenzione di un architetto ed è QUELL’ANDARSENE NEL BUIO DEI CORTILI (2010).
Dal cuore geometrico del cortile la poesia si dilata nel paesaggio urbano
penetrando nei luoghi della nostra vita quotidiana: stanza sigillata, profumo di
benzina, balcone, asfalto nelle mani, muri sgretolati, verso le tangenziali.
ALFABETO DEL MOMENTO
…E il mondo
sembra un’eco della frase
che non trovano più,
caduti nel buio
di un gesto qualunque, un sabato,
in un centro commerciale.
UN’OSCURA SETE
…sono dispersi ai bordi della terra
…a precipizio tra due pareti
…l’erba cresce nei corridoi
VOCI
II
…allora mi chiamò un drappello
di anime
sole…
si avvicinarono alle grandi vetrate del tempo…
Vorrei infine chiederti come possono convivere micro e macrocosmo, il sabato
al centro commerciale insieme alle grandi vetrate de tempo?
In questo mi sento erede del grande Giovanni Pascoli, che percepiva
profondamente il legame misterioso tra un filo d’erba e il cielo illuminato di
stelle. Solo che nella mia opera la città subentra alla natura e il nesso tra il
minimo e l’immenso compare sotto forma di un citofono attraverso il quale
avverto la voce degli antenati; oppure, come tu suggerisci, sotto forma di una
tenda oltre la quale si intravedono le grandi vetrate del tempo. In tutti i miei
viaggi urbani ho sempre sentito la luce potente del dettaglio – un portone
sgangherato, un baracchino notturno, un’edicola chiusa – che collega
all’improvviso la sua umile presenza al simbolo in cui è immersa, la contingenza
storica di una passeggiata invernale a Milano con il cerchio di tutte le
stagioni e di tutte le città: se togliamo questo nesso fondamentale, il nostro
vedere diventa una semplice cronaca senza durata, un’escursione turistica che
non si bagna nelle grandi sorgenti della conoscenza.
Nota biobibliografica
Milo
De Angelis, vive a Milano, dove è nato nel 1951. Ha pubblicato Somiglianze
(Guanda, 1976); Millimetri (Einaudi, 1983 e Il Saggiatore 2013); Terra del viso
(Mondadori, 1985); Distante un padre (Mondadori, 1989); Biografia sommaria
(Mondadori, 1999); Tema dell’addio (Mondadori, 2005); Quell'andarsene nel buio
dei cortili (Mondadori, 2010); Incontri e agguati (Mondadori, 2015); Linea
intera, linea spezzata (Mondadori, 2021). Ha scritto il racconto La corsa dei
mantelli (Guanda, 1979 e Marcos y Marcos, 2011) e un volume di saggi (Poesia e
destino, Cappelli 1982 e Crocetti 2019). Nel 2017 ha è uscita presso Mondadori
una raccolta dei suoi versi (Tutte le poesie 1969-2015). Ha tradotto dal
francese e dalle lingue classiche.
foto di Viviana Nicodemo
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